Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani, in occasione dell’assassinio del giovanissimo pubblicitario Giulio Capilli, avvenuto il 30 gennaio 1988 a Taranto, intende continuare a proporre, attraverso la voce degli studenti, gli esempi di uomini e donne coraggiosi che si sono sacrificati in nome dell’onestà, costituendo un modello di riferimento moralmente limpido e meritevole di maggiore attenzione da parte dei media, dell’opinione pubblica e della società civile.
Oggi più che mai occorre parlare ai giovani di legalità e rispetto delle regole, perché la catena degli affetti e della verità storica non venga mai spezzata.
Lo studente Alessandro Manica della classe III sez. C del liceo scientifico “Filolao” di Crotone, ne traccia un profilo attento raccontando la sua storia.
“Giulio Capilli era un giovane pubblicitario di 28 anni. In una sera d’inverno, quella del 30 Gennaio 1988, mentre passeggiava con la sua fidanzata per le strade di Taranto, sua città natale, improvvisamente sentì un suono assordante: era un colpo di pistola. La pallottola lo colpì recidendogli l’arteria. Per il giovane Capilli non ci fu nulla da fare, ma il bersaglio non era lui perchè il proiettile era destinato ad un pregiudicato.
Prima di morire cadde fra le braccia della sua fidanzata pronunciando la sua ultima parola, “maledetti”, quasi come se avesse intuito chi fosse stato a spararlo e provasse rabbia, piuttosto che tristezza, per come fosse stata stroncata la sua vita. Un sentimento certamente diverso, invece, è quello provato dalla sua famiglia e dalla sua fidanzata, addolorati per la perdita dell’amato Giulio, la cui unica colpa era di esser capitato al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Questo, però, fra i tanti omicidi di mafia è da considerare un caso fortunato, se può esser definito tale, poiché i familiari dell’innocente hanno avuto la misera “soddisfazione” di poter vedere l’assassino, Enrico Urgesi, in carcere per quattordici anni. Ciò è una cosa rara, perché solitamente il sicario di un bersaglio sbagliato non è mai arrestato.
Il dolore provato dalla famiglia di Giulio si spera possa essere d’esempio ancora oggi, per tutti, perché insegnano a non aver timore dei clan mafiosi, bensì rappresentano la necessità di ribellarsi e di non accettare che la malavita possa uccidere individui scomodi per i loro loschi affari, talvolta permettendosi di sbagliare e uccidere persone che nulla hanno avuto a che fare con i loro traffici.”
Il CNDDU invita nuovamente gli studenti e i docenti ad aderire al progetto #inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità. Gli elaborati possono essere segnalati al CNDDU che li renderà visibili sui propri canali social (email: coordinamentodirittiumani@gmail.com)