Sulla tomba del leader socialista, sepolto nel piccolo cimitero cristiano di Hammamet, è scolpito un libro aperto con la scritta: “La mia libertà equivale alla mia vita”.

Ventitre anni fa, il 19 gennaio del 2000, moriva ad Hammamet Bettino Craxi. In Tunisia, lontano dalla sua Italia, dove non aveva potuto fare ritorno nemmeno per curarsi quando era gravemente ammalato. Si spegneva così uno degli uomini politici più rilevanti della Repubblica e tra i politici più influenti e apprezzati a livello internazionale degli anni ’80, prima osannato e poi aspramente contestato.

Il nome di Bettino ha riempito le cronache degli Anni 80 e poi 90, soprattutto a seguito dell’inchiesta ‘Mani pulite’ sulla relazione corrotta che si era instaurata tra l’imprenditoria, che sborsava somme ingenti di denaro, e la politica, che incassava e ricambiava con favori e concessioni. Sul banco degli imputati l’intera classe politica. E Craxi. L’ex segretario nazionale del Psi, dopo essersi dichiarato in sede processuale “al corrente dell’andatura non regolare dei finanziamenti ai partiti e al mio partito” ma non lui stesso complice, si è rifugiato nella sua villa ad Hammamet, in Tunisia, dove è morto il 19 gennaio 2000.
Sulla tomba del leader socialista, sepolto nel piccolo cimitero cristiano di Hammamet, è scolpito un libro aperto con la scritta: “La mia libertà equivale alla mia vita”.

Tra i libri dedicati alla sua storia, c’è ‘Presunto colpevole’ in cui Marcello Sorgi ripercorre il crepuscolo di Craxi, il destino di un uomo e di un politico con cui il Paese non ha ancora fatto i conti fino in fondo. E tra le pagine riemerge una domanda: perché alla fine del 1999, gravemente ammalato, non fu possibile costruire un corridoio umanitario per farlo rientrare in Italia e farlo curare in un centro specializzato?

Come racconta Marcello Sorgi nel libro «Presunto colpevole», ricco di rivelazioni e racconti inediti, «Tornati a casa dal funerale, rimettendo in ordine la stanza in cui Craxi è morto, si trova sotto il letto un foglio di carta con il suo ultimo appunto, scritto poco prima della fine. Si può dire che sono le sue ultime parole: “In questo processo, in questa trama di odio e di menzogne, devo sacrificare la mia vita per le mie idee. La sacrifico volentieri. Dopo quello che avete fatto alle mie idee, la mia vita non ha più valore. Sono certo che la storia condannerà i miei assassini. Solo una cosa mi ripugnerebbe: essere riabilitato da coloro che mi uccideranno“»


Non c’è futuro senza memoria

Di caposud

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